A Bollate abbiamo incontrato Enrico Licini, l’unico arbitro italiano presente ai Giochi Olimpici di Rio de Janeiro 2016. L’occasione è ghiotta per farci raccontare come ha vissuto tale esperienza.

- Complimenti per la convocazione. Ci puoi descrivere le emozioni provate?

“Ho provato delle emozioni fortissime, impossibili da descrivere. Ho coronato un sogno che avevo fin da ragazzo quando ho iniziato questa carriera”

- Quando hai avuto la conferma dell’AIBA?

“L’AIBA ti fa una pre-convocazione ma non sei mai sicuro di partire fino a quando non ricevi la comunicazione ufficiale proprio nell’imminenza dell’inizio dei Giochi. Io l’ho ricevuta il giorno prima della partenza prevista per il 3 agosto. La cerimonia d’apertura è stata il 5”

- Quindi la chiamata ufficiale non è una formalità?

“No. Posso dirti che anche prima di Londra 2012 ero in allerta ma poi non mi hanno chiamato e sono rimasto a casa” 

- Ci puoi raccontare qualche aneddoto?

“Certamente. Per esempio, è stato curioso che ho iniziato ad arbitrare dalla terza sessione di gare. Ho temuto che si fossero dimenticati di me. La mia Olimpiade è iniziata quando i miei colleghi avevano già arbitrato più volte”    

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- Era la tua prima Olimpiade?

“Da giudice arbitro era la prima però sono stato a Barcellona ’92 da spettatore e ad Atene 2004 come volontario”

- Com’è stata l’organizzazione da molti criticata?

“L’organizzazione dei Giochi Olimpici è sempre stata criticata, anche in passato. Si attiva una macchina talmente complessa che è impossibile riuscire alla perfezione in tutto. Diamo anche l’attenuante che era la prima volta che i Giochi si svolgevano in Sud-America” 

- Alloggiavate nel villaggio olimpico con gli atleti?

“No, gli arbitri alloggiano fuori dalla struttura olimpica proprio per rimanere più tranquilli e non entrare in contatto con le varie nazionali. Eravamo in 36 ed alloggiavamo con gli arbitri del judo e del taekwondo”

- Hai assistito alla cerimonia d’apertura da spettatore o hai sfilato con i team?

“E’ da Londra che gli arbitri non sfilano più. Prima lo facevano. Ho visto la cerimonia dell’inaugurazione da spettatore e me la sono proprio goduta. Si è trattato di uno spettacolo meraviglioso. Una grande festa e tu sei uno dei tanti protagonisti per cui è stata organizzata questa festa. Come ho già detto, per me, arrivare alle Olimpiadi era un sogno e ora si è realizzato”

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- Quanti incontri hai arbitrato e giudicato?

“Ne ho arbitrati sette e giudicati una quarantina. In finale ho arbitrato il match dei 69 kg tra il kazako Eleusinov e l’uzbeko Giyasov, incontro tattico non molto spettacolare”

- Mi avevi preannunciato la forza della nazionale uzbeka. Quali team ti hanno impressionato di più?

“Confermo l’Uzbekistan, di cui ho notato la crescita durante gli anni che hanno preceduto i Giochi, il Kazakistan e la solita Cuba. Ho ammirato anche alcuni atleti statunitensi dei quali sentiremo parlare anche da professionisti”

- Dai una pagella ai tuoi Giochi. Come valuti il tuo operato?

“Non ho avuto problemi né contestazioni. Sono stato fortunato durante i match e i pugili sono sempre stati corretti e sportivi. Qualcuno dice che la fortuna bisogna meritarsela, a me è andata bene. Ero tranquillo, concentrato al 100% su ciò che stavo facendo e credo di aver dato il massimo. Il feedback che ho ricevuto è stato positivo, questo mi fa piacere”

- Ti ricordi qualche incontro particolarmente bello?

“Ero giudice nella finale dei 56 kg tra il cubano Ramirez e lo statunitense Stevenson. Un match meraviglioso dove Stevenson ha ammesso la superiorità dell’avversario anche se sono arrivati vicinissimi nel punteggio che, infatti, non è stato unanime”

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- Di solito, in questi casi, si usa fare dei ringraziamenti. Tu hai qualcuno da ringraziare?

“Certo. In primis devo ringraziare mio padre (Piergiorgio Licini è arbitro benemerito, ndr). Mi ha sempre dato l’esempio, mi ha trasmesso la sua esperienza ed è stato un osservatore sempre presente fin dal 1994, anno in cui ho intrapreso questa carriera. Quando torniamo dalle riunioni di boxe, ci confrontiamo sempre e più è lungo il viaggio, più abbiamo elementi di discussione. Si cresce e si migliora anche in questo modo. Poi devo assolutamente ringraziare la mia famiglia per avermi sopportato e supportato durante tutto il quadriennio che mi ha portato spesso lontano da casa. Se a Rio sono andato bene, è anche merito loro che mi hanno lasciato tranquillo e, su mia richiesta, non mi hanno accompagnato in Brasile”

- Come mai ti vediamo in tv a Rio e poi ti ritroviamo qui a Bollate?

“Per la passione. Perché io amo quello che faccio, mi diverto e cerco di farlo al meglio sia che mi trovi alle Olimpiadi di Rio o al Torneo regionale di Bollate”

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- Tornando a Rio, come giudichi l’operato dei tuoi colleghi? Al settore arbitrale sono state rivolte molte critiche e alcuni verdetti sono stati paragonati a quelli scandalosi di Seul

“Io non potevo sperare in un’Olimpiade migliore. Mi sembra di non aver commesso errori. Nessuno può capire la pressione e la responsabilità che avverte un arbitro in queste occasioni. Ogni direttore di gara si rende conto dei propri errori o direttamente sul ring o rivedendone le immagini successivamente però devi prendere decisioni difficili in una frazione di secondo. L’errore e la distrazione sono sempre dietro l’angolo. Per scelta, non ho visto molti incontri. Eravamo in una sala con gli schermi ma non volevo finire in overdose da boxe. Ho notato qualche errore arbitrale ma, ripeto, ci può stare. Non è facile stare dalla mia parte”

Demetrio Romanò